Influenza aviaria gatti, è boom di morti: il 67% non sopravvive

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L’allarme degli esperti dell’Università del Maryland: incremento spaventoso nei gatti domestici. È fatale la caccia ad uccelli e roditori, ma problemi segnalati anche su latte e cibi in scatola

Lo studio dell’Università del Maryland: “Drastico aumento delle segnalazioni a partire dal 2023 in quelli domestici”. Letale la loro caccia a uccellini e roditori ma attenzione anche al latte crudo e ai cibi in scatola

Il virus H5N1, più comunemente chiamato influenza aviaria, continua a tenere alta l’attenzione del mondo scientifico: ora il focus è sul contagio altamente mortale che può colpire i gatti. 

I gatti colpiti dal virus hanno il 67 per cento di possibilità di non sopravvivere ad esso. Il dato, allarmante, arriva da uno studio condotto da Kristen K. Coleman e Ian G. Bemis, ricercatori presso la Scuola di Salute Pubblica e il Dipartimento di Medicina dell’Università del Maryland. I due studiosi statunitensi hanno analizzato la diffusione delle infezioni di influenza aviaria nei gatti dal 2004 al 2024 e hanno osservato un “drastico aumento delle segnalazioni a partire dal 2023” in quelli domestici. La stessa impennata non è stata osservata, invece, nei felini presenti negli zoo e in quelli selvatici.

Principali fattori di contagio letale  

Per gli esperti sarebbe l’attività predatoria dei gatti a esporli alla letalità della malattia.  A entrare in contatto con i i felini sono i topi e gli uccelli da loro cacciati e portatori del virus: “È un buon motivo per i proprietari di animali domestici per tenere i propri gatti dentro casa e lontano dagli uccelli selvatici”, spiegano gli scienziati dell’Università del Maryland. 

Che i gatti potessero essere contagiati dall’aviaria non è, purtroppo, una novità, quanto la conferma dell’allarme lanciato già lo scorso anno dalla Polonia: uno studio pubblicato aveva evidenziato come i pochi gatti che riuscivano a sopravvivere rimanevano comunque ciechi. Anche a Varsavia l’indice era stato puntato nei confronti dell’alimentazione felina, compresa quella domestica, compresa quella da allevamento. “Il fatto che oltre il 90% dei gatti polacchi contagiati vivesse in casa ci porta a pensare – aveva spiegato Calogero Terregino, direttore del Laboratorio di referenza nazionale ed europeo per l’influenza aviaria dell’Istituto Zooprofilattico in una intervista a La Stampa- che sia l’alimentazione fornita dai loro proprietari la causa comune. Ma a nostra conoscenza non sono state fatte indagini di questo tipo. Noi non sappiamo come venivano nutriti, se con carne cruda, cibo umido o secco altamente processato. Ma è evidente che è lì che bisogna cercare la fonte dell’infezione”.

Gli step per prevenire i rischi, oggi come nel 2023, sono gli stessi: “Non dare da mangiare al tuo gatto carne cruda o latte crudo e limita il tempo trascorso all’aperto senza supervisione”, ha affermato la professoressa Coleman nel comunicato stampa dell’Università del Maryland. “I gatti predano uccelli selvatici che potrebbero essere infetti e potrebbero consumare latte crudo di una fattoria se non viene conservato in modo sicuro”.

Inoltre, come riportato nello studio “Highly Pathogenic Avian Influenza A(H5N1) Clade 2.3.4.4b Virus Infection in Domestic Dairy Cattle and Cats, United States, 2024,  “diversi gatti che si sono nutriti di latte vaccino crudo e infetto da questi allevamenti hanno contratto l’influenza aviaria e sono morti. Ricordiamo che al momento non ci sono segnalazioni di allevamenti di bovini infettati al di fuori degli USA”. 

I sintomi e i rischi per l’essere umano 

Fondamentale controllare i sintomi respiratori e neurologici. I gatti contagiati dal latte vaccino mostravano secrezione di liquido da occhi e naso, comportamento apatico, perdita di coordinazione e cecità. “Gli animali malati possono essere in grado di trasmettere il virus dell’influenza alle persone attraverso la saliva, gli escrementi e altri fluidi corporei. Le infezioni umane possono verificarsi quando il virus viene inalato o penetra negli occhi, nel naso o nella bocca di una persona. Ciò può accadere quando il virus è nell’aria (in goccioline o polvere) e una persona lo inala, o quando una persona tocca qualcosa che contiene il virus e poi si tocca la bocca, gli occhi o il naso”, hanno spiegato dai Centers Desease for Control and Prevention.

Sebbene al momento l’ente statunitense ritiene improbabile che possa avvenire la trasmissione del virus dal gatto domestico all’uomo, non è escluso che, se c’è “un’esposizione prolungata e non protetta”, questo si possa verificare: il virus, infatti, ha una alta capacità di evoluzione e di adattamento. Secondo un’affermazione del dottor Robert Redfield, virologo ed ex direttore dei CDC,  Centri per il controllo e la prevenzione delle malattie, servirebbero cinque mutazioni negli amminoacidi del patogeno per renderlo facilmente trasmissibile nell’uomo e dunque pandemico. Il patogeno, infatti, continua a evolversi e a colpire un numero sempre maggiore di specie di mammiferi: oltre ai gatti, anche gatti, volpi, mustelidi, orsi, pinnipedi e, più recentemente, anche bovini, con numerosi casi in decine di allevamenti degli Stati Uniti. 

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